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 Breve storia di Canale

(di Bruno Franceschi)

La storia di Canale

 

Dall’antichità la Valtrebbia è stata sempre scarsamente popolata a causa del clima e della scarsità del terreno coltivabile, cui si è supplito in epoca medievale con un’opera di terrazzamento “a fasce” che ha pochi eguali al mondo e che purtroppo, in assenza dell’intervento dell’uomo, sta sparendo inghiottito dalla vegetazione incolta.

 

Gli unici ritrovamenti degni di rilievo risalenti a epoca pre-romana sono costituiti da un’ascia di pietra rinvenuta a Rovegno e in alcuni piccoli oggetti religiosi scoperti sulla cima di uno dei monti più belli e maestosi, l’Alfeo.

 

Dell’epoca romana poco di sa, essendo solo sopravvissuta la leggenda di Annibale che attraversa la Valle e sale sul monte Lesima e di un gruppo di cartaginesi che avrebbe fondato il paesino di Tartago, ma entrambi i fatti mi sembrano alquanto improbabili.

 

E’ invece certo che Rovegno in epoca romana – e forse anche prima – sia stato il centro principale della nostra Alta Valle, anche in ragione della miniera all’epoca operante e che, per il colore delle rocce vicine, ha forse dato origine al nome del paese: Rubenius o Robenius, da rosso in latino.

 

Di Canale al momento non se ne sa ancora nulla, anche se non è da escludere che già all’epoca qualche insediamento esistesse, come sembra confermato da alcuni reperti trovati nelle Ciose al momento dei lavori per l’allargamento dello stradone per la Costa e dei quali si è persa ogni traccia.

 

E’ però nell’alto medioevo che, a mio parere, dobbiamo cercare l’atto di nascita di Canale.

 

Nel sesto secolo dopo Cristo buona parte dell’Italia centro settentrionale vede un vero e proprio stravolgimento nella sua popolazione in quanto alla vecchia popolazione romana e celtica si sovrappone - e solo in secondo momento si mischia – il popolo longobardo.

 

I Longobardi erano una popolazione nomade originaria del nord della Germania che, dopo avere vagato nell’Europa centrale per un centinaio di anni, sotto il Re Alboino invase il Friuli e da lì la Lombardia e tutto il nord e centro Italia, fatta eccezione per Liguria, Romagna e parte del Lazio rimaste sotto l’Impero romano d’Oriente.

 

Questo popolo, che scelse quale sua capitale la vecchia Ticinum, ribattezzata Pavia, professava il cristianesimo eretico ariano e sia per ragioni religiose che razziste nel suo primo periodo evitò accuratamente di mischiarsi con i locali, cattolici e celti romanizzati.

 

Solo con la conversione al cattolicesimo, realizzata grazie alla regina Teodolinda, i popoli iniziarono a mischiarsi e venne avviata una nuova politica di espansione e di consolidamento verso il mare.

 

Questo momento riveste molta importanza per il nostro Canale in quanto Teodolinda e i successivi sovrani investono il monaco irlandese Colombano e i suoi compagni di alcuni poderi nella città di Bobbio per fondarvi un monastero e colonizzare le terre vicine e i nostri monti.

 

Il buon Colombano e i suoi monaci, oltre a sviluppare un fiorente centro culturale a Bobbio, organizzano una colonizzazione capillare dell’Appennino e della Valtrebbia, fondano centri religiosi - dette “cellae” - e civili insediando nelle prime gruppi di religiosi e nelle seconde interi gruppi famigliari longobardi (sippe o fare) legati da vincoli di sangue e con lo specifico compito di coltivare e difendere le terre loro assegnate dal Monastero.

 

E’ quindi molto probabile che anche Canale si sia sviluppato dall’insediamento di alcune famiglie longobarde nelle zone storiche: i Ferretti (che porta il nome di una famiglia) con la propaggine della Ota e delle Pezze Lunghe; le Carpeneie; le Ca’ da basso; la Costa; la Murazza.

 

Questi nuclei abitativi si sono poi sviluppati con il classico sistema di “affiancamento” delle case: ad ogni ampliamento della famiglia corrispondeva l’edificazione di un altro edificio attiguo al preesistente e così via, sino a formare veri e propri muri di case (il termine Murazza sta a indicare proprio questa caratteristica edificatoria).

 

La vocazione agricola di Canale e l’attenzione e la cura che i nostri antenati riservavano alla terra coltivabile si può capire anche dal fatto che, sino ai tempi moderni, essi hanno lasciato liberi da abitazioni gli spazi dove più agevole era la coltivazione, le cosiddette “ciose” (dal latino “clausa” che indicava un terreno agricolo chiuso) e gli altri terreni un po’ pianeggianti posti sul bel crinale del Paese.

 

L’origine longobarda di Canale e di molti paesi della Valle è una tesi che sta consolidandosi in questi anni e mi sembra condivisibile oltre che per le caratteristiche costruttive del Canale di un tempo, ormai sparito, tipicamente longobarde e celtiche (costruzioni simili le troviamo in Germania e Francia) anche per altre caratteristiche soggettive quali il senso di appartenenza familiare tipico della popolazione (magari non ci si parla volentieri, ma si è pur sempre parenti) e oggettive: i nostri Padri hanno dedicato la Chiesa a Santa Giustina e questa santa padovana era molto venerata dai Longobardi.

 

Ed è proprio la nostra chiesetta, all’epoca poco più di una cappella legata alla più importante S. Maria di Montebruno (anch’essa di dedicazione prettamente longobarda) a far comparire Canale per la prima volta nella storia in un documento scritto del tredicesimo secolo: un sacerdote di nome Simonino è infatti investito della Chiesa di S. Maria di Montebruno alla quale è legata quella di Santa Giustina di Canale.  

 

Nel frattempo a Canale erano passati – per modo di dire, perché credo non ci abbiano mai messo piede – i Franchi di Carlo Magno e i tedeschi degli Ottoni e degli Hohenstaufen, e il suo territorio era passato sotto il dominio di un ramo dei feudatari Obertenghi, i Malaspina, che governavano la Valle dai loro Castelli: il più importante era a Torriglia, che cambiò il nome dal precedente Patrania proprio per la torre del castello, ma altri castelli erano a Montebruno (non si sa esattamente dove), a Casanova, a Croce (di fronte a Rocca Corvi si vedono ancora le rovine), a Ottone e a Cariseto, dove si applicava una legislazione molto dura che per secoli è stata sinonimo di esercizio violento del potere.

 

Le strade erano poche, tutte solo mulattiere, ma più numerose delle attuali: per arrivare a Canale o si scendeva dalla strada che collegava la Riviera al Piacentino (per intenderci, la strada delle villette verso Co’ dei Runchi, Pianna da Libbia e così fino alla Rocca) o si saliva dai vari sentieri che guadavano il Trebbia prima del Ponte attuale o dai Due Ponti (in dialetto “Ria di Guè” ovvero Ripa dei Guadi).

 

Per andare a Fontanigorda non c’era l’attuale strada che passa per Casoni ma si scendeva dalla Costa nel Fossato, dove c’era uno dei vari mulini funzionanti, e in Sermigliasca e, dopo averlo attraversato su un ponte, si risaliva sino alla cappelletta di S. Rocco di Fontanigorda, mentre per Casoni e Vallescura o si prendeva una deviazione o si passava dalla strada superiore o per altri sentieri che collegavano il nostro Paese a Casoni ed ai Reisoni e Mezzoni.

 

E’ invece rimasta pressoché immutata la strada delle Borzine, che collegava Canale alle Volpaie (o Grupaie, stante che la volpe è “a gurpe”) ed alle Borzine e di lì a Sottoripa.

 

Ma andiamo avanti con la nostra piccola storia: una ricca e nobile famiglia di Lavagna, ormai diventata genovese, i Conti Fieschi, a metà del ‘400 comprano alcuni Feudi da un ramo dei Malaspina diventando Marchesi di Torriglia che, ormai da decenni, vedeva inclusa la “villa” di Canale.

 

Passa un centinaio di anni – nel corso dei quali i nostri antenati continuano a lavorare la loro terra in primavera e estate ed emigrano in pianura in inverno – ed ecco che ai Fieschi si sostituisce un’altra importante famiglia genovese.

 

A seguito della famosa – e fallita – congiura dei Fieschi contro Andrea Doria, quasi tutti i feudi della famiglia sconfitta vengono divisi tra i Doria e la Repubblica di Genova e Torriglia con il piccolo Canale va ai Doria che diventano Marchesi di Torriglia e Signori di Valtrebbia.

 

La vita procede così senza particolari scossoni sotto il dominio dei Doria che istituiscono un sistema amministrativo diviso in Ville che al loro interno eleggono un responsabile che, per un anno, rappresenta il Marchese nel suo territorio: a Canale esiste ancora una “Casa del Marchese”.

 

Questa era l’organizzazione ufficiale, ma in realtà la cronaca di quegli anni ci parla di molta violenza e di un brigantaggio estremamente forte, dovuto anche al fatto che i nostri territori erano di confine tra Stati più grandi (Genova, Milano, Parma, Savoia) e che spesso chi compiva in quei paesi gravi delitti fuggiva sui nostri monti e godeva dell’impunità, trattandosi di stato estero.

 

Dalle cronache risulta che un prete delle nostre parti chiese al vescovo di essere autorizzato a portare lo schioppo poiché “non si sente altro tutto il giorno che di morti e ammazzamenti” : insomma, la vita non doveva essere semplice e forse questo giustifica un po’ il nostro carattere tipico, un po’ selvatico e piuttosto “deciso”.

 

Nel frattempo, a livello ecclesiatico si realizza la riforma parrocchiale voluta dal Concilio di Trento e nell’ambito della razionalizzazione delle Parrocchie i nostri vecchi, nel 1641, chiedono e ottengono dal Vescovo di Tortona (perché fino ai primi dell’800 siamo stati insieme a Torriglia e Montebruno sotto Tortona) il distacco da S. Pietro di Casanova e la nascita della Parrocchia di S.Giustina V.M. di Canale.

 

Questo è senz’altro un grande passo perché da quel momento Canale avrà i suoi registri ecclesiastici dai quali si può sapere quanta gente è nata, è stata battezzata, si è sposata ed è morta in un anno; quali erano le famiglie di Canale; cosa e quanto si spendeva per il culto; quali problemi c’erano stati.

 

Le famiglie erano più o meno le stesse: i Ferretti, i Biggi, gli Sciutti, i Raggi (ora spariti) e più tardi i Barbieri.

 

La chiesa era più piccola e comprendeva solo l’attuale navata centrale con abside più piccolo per il pregiato altare maggiore di marmo, proveniente da Genova; solo nel settecento venne aggiunta la navata per ospitare la cappella della nostra Madonna delle Grazie, mentre a fine ottocento venne costruito il nuovo abside e negli anni ’60 del ‘900 la navata di S. Giustina.

 

Il campanile di Canale, uno dei più alti della Valle, risale al 1860 ed è stato costruito dalla popolazione che dedicava tempo ed energie, oltre che parte delle sue scarse disponibilità economiche, all’edificazione di un simbolo religioso e comunitario quale la torre campanaria, che sostituiva altra più piccola che si trovava dove adesso c’è il “garage del prete”, sulla piazza della chiesa o, per usare il termine giusto, in “u prau”.

 

Infatti, quella che adesso è una piazza di terra battuta diventata parcheggio estivo, fino a prima della guerra era un vero e proprio prato che, dal fianco della Chiesa, degradava verso la strada ed era chiuso al lato valle dalla canonica perpendicolare all’edificio religioso e collocata dove adesso c’è la navata di S. Giustina.

 

Alla festa della Madonna delle Grazie, a quanto mi raccontava mia nonna, sia il prato che i campi vicini si riempivano di gruppi famigliari di altri Paesi che dopo aver partecipato alla festa religiosa (allora ci si muoveva per le cose importanti) mangiavano all’aperto aspettando che nel pomeriggio un’orchestrina desse il via alle danze in un improvvisato “ballo campestre”,  e tra i vari balli si ballava anche la giga, tipica danza celtica.

 

Il cimitero non ha cambiato localizzazione, ma all’epoca esso costituiva la naturale prosecuzione del sagrato della Chiesa in quanto la strada carrozzabile non c’era e quindi per accedervi non si dovevano scendere e salire le rampe di scale attuali. Anche questa fu comunque per i canalini una conquista visto che per secoli il cimitero più vicino era quello di Alpepiana, in Val d’Aveto e le salme erano portate a spalle.  

 

Torniamo alla Storia ufficiale: anche i Doria nel 1797 vengono scalzati da Napoleone e Canale passa alla Repubblica Ligure e poi all’Impero Francese.

 

Passa anche Napoleone e Canale viene assegnato al Regno di Sardegna, Diocesi e Provincia di Bobbio e la sede del Comune viene fissata nel più recente insediamento di Fontanigorda, parrocchia solo dalla fine del ‘700.

 

Comincia quindi un secolo di relativa tranquillità: i canalini si sposano e hanno figli, anche se la mortalità infantile è elevata.

 

D’inverno gli uomini emigrano come muratori o uomini di fatica nelle città della costa ligure o della Lombardia e molte donne prestano servizio nelle case delle borghesie cittadine. Tutti poi appena possibile o necessario tornano a Canale per semina, raccolto e fienagione.

 

Quello che colpisce di questa povera gente che erano i nostri antenati – io ho una nonna di Canale e uno di Vallescura e Barcaggio – è comunque la grande dignità che hanno sempre mantenuto: poveri sì, ma mai miseri; alla domenica gli uomini si mettevano camicia bianca, giacca e cappello; se passava un viandante (un porumin) quel poco che si aveva era condiviso e un po’ di pagliericcio per dormire era senz’altro offerto; il poco guadagno era risparmiato per la famiglia e appena si poteva, se quella era l’intenzione, si cercava di comprare “u sci-itu” in città e di dare un minimo di istruzione ai figli.

 

Ai primi del ‘900 probabilmente abbiamo la maggior crescita demografica a Canale, dove c’è anche una scuola a classi miste che trova collocazione in alcune abitazioni private: nei Ferretti, nelle Pezze Lunghe e da ultimo nelle Ca’ da Basso.

 

L’emigrazione verso le Americhe c’è, ma non è forte come in altri centri della Liguria, ed è più sentita l’attrazione verso Genova;  altri Paesi scelgono Milano, come Casoni, o la Francia, come Fontanigorda.

 

La prima guerra mondiale porta alcuni lutti ricordati da una lapide sulla facciata della Chiesa, ma fortunatamente non molti se paragonati ad altre vicine realtà come Casoni che piange molte più vittime dell’”inutile strage”.

 

Il primo dopoguerra porta a Canale il ponte del 1929, figlio di un’annosa disputa tra fazioni circa l’accesso al Paese: un partito infatti puntava sulla strada dei Due Ponti, un altro sull’attuale tracciato “della Roncazza” che poi venne realizzato, anche questo a picco e pala, dai canalini.

 

Il fascismo a Canale non porta alcun miglioramento degno di nota se non alcune belle conifere dopo il ponte, nella salita verso il Paese, e l’obbligo per la gioventù di recarsi ogni tanto a Genova o a Fontanigorda per manifestazioni alle quali le donne partecipano bardate da “massaie rurali” …. gli uomini continuano ad emigrare, le donne continuano ad andare a servizio nelle case della borghesia e tutti continuano a lavorare faticosamente la terra

 

In compenso arrivano la guerra, un povero caduto in Africa Orientale e, dopo l’8 settembre, la Resistenza che trova nella nostra Valle uno dei centri più attivi: il capo partigiano Marzo, compagno di Bisagno, stabilisce il suo quartiere generale a Canale e, quando i fascisti bruciano Barbagelata, a Canale si trema, pensando che fascisti e tedeschi gli avrebbero riservato lo stesso trattamento.

 

Fortunatamente così non accadde, anche se dal ’43 e ’45 i morti nella valle furono molti e la battaglia di Loco fu uno degli eventi più noti, ma non l’unico: venne fatto saltare il ponte dei 10 metri verso Torriglia e a Ponte Trebbia un gruppo di partigiani venne massacrato dai tedeschi.

 

Dopo il 25 aprile ha finalmente inizio un periodo di pace e relativa tranquillità economica che però coincise, dalla fine degli anni ’50 in poi, con un irreversibile spopolamento di Canale a favore di Genova: intere famiglie si trasferirono in città chiudendo le case e abbandonando di fatto i campi e l’allevamento.

 

L’ultimo camino che, spegnendosi, ha davvero significato una grave perdita per Canale è stato quello dell’ultimo parroco residente, Don Santino, che costituiva una presenza fissa e di riferimento per tutti, credenti e non credenti, in quanto testimone vivo della nostra Comunità che ha riconosciuto questo suo ruolo nella bella festa del 50° di sacerdozio del 1990.

 

Il paese ha quindi mutato la sua originaria natura agricola, le case sono state ristrutturate e quelle che prima erano stalle sono diventati appartamenti per il turismo estivo di genovesi che non amano spostarsi troppo e preferiscono – giustamente - dormire al fresco, al silenzio e senza zanzare.

 

Anche il paesaggio naturale è cambiato rispetto alle rare fotografie antecedenti la seconda guerra mondiale: molte aree un tempo “pulite” sono state invase da roveti o vegetazione disomogenea ed anche i nostri bei boschi di castagni secolari, prima curati dall’uomo, sono ogni anno che passa meno praticabili, come pure molti sentieri.

 

Il fenomeno è però inevitabile in quanto tutti noi che, chi più chi meno, frequentiamo Canale d’estate, non possiamo oggettivamente fare quello che facevano i nostri Padri che, pur con meno mezzi, vivevano buona parte dell’anno nel loro Paese e traevano parte del loro vitto dalla terra e dall’allevamento.

 

La nostra vita è altrove e vediamo in Canale un posto dove, o per radici famigliari o per affetto, desideriamo trascorrere momenti sereni con i nostri cari e con la nostra tradizione ed è già un ottimo elemento di speranza l’esistenza di associazioni o di Gruppi di persone che, liberamente e senza altro scopo che non sia quello di stare bene insieme condividendo l’amore per un luogo, dedichino tempo e risorse per progetti di miglioramento del Paese e della qualità di vita dei suoi abitanti fissi e stagionali.

 

La breve Storia di Canale si chiude così, con un complimento diretto ai CHS ed al Gruppo della generazione anni 50 e 60 – che in questi anni hanno lavorato molto e bene - e con un po’ di mio malcelato disappunto per risiedere a Canale molto meno di quanto vorrei, ma mai dire mai …. del resto il Canale più bello, quello della mia infanzia e gioventù, l’ho sempre nel cuore.

 

Spero di non avervi annoiato e resto a disposizione di qualsiasi canalino d’origine e adozione per eventuali approfondimenti.  

 

Bruno Franceschi

 

 

 

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