Dall’antichità
la Valtrebbia è stata sempre scarsamente popolata a
causa del clima e della scarsità del terreno
coltivabile, cui si è supplito in epoca medievale con
un’opera di terrazzamento “a fasce” che ha pochi
eguali al mondo e che purtroppo, in assenza
dell’intervento dell’uomo, sta sparendo inghiottito
dalla vegetazione incolta.
Gli
unici ritrovamenti degni di rilievo risalenti a epoca
pre-romana sono costituiti da un’ascia di pietra
rinvenuta a Rovegno e in alcuni piccoli oggetti
religiosi scoperti sulla cima di uno dei monti più
belli e maestosi, l’Alfeo.
Dell’epoca
romana poco di sa, essendo solo sopravvissuta la
leggenda di Annibale che attraversa la Valle e sale sul
monte Lesima e di un gruppo di cartaginesi che avrebbe
fondato il paesino di Tartago, ma entrambi i fatti mi
sembrano alquanto improbabili.
E’
invece certo che Rovegno in epoca romana – e forse
anche prima – sia stato il centro principale della
nostra Alta Valle, anche in ragione della miniera
all’epoca operante e che, per il colore delle rocce
vicine, ha forse dato origine al nome del paese:
Rubenius o Robenius, da rosso in latino.
Di
Canale al momento non se ne sa ancora nulla, anche se
non è da escludere che già all’epoca qualche
insediamento esistesse, come sembra confermato da alcuni
reperti trovati nelle Ciose al momento dei lavori per
l’allargamento dello stradone per la Costa e dei quali
si è persa ogni traccia.
E’
però nell’alto medioevo che, a mio parere, dobbiamo
cercare l’atto di nascita di Canale.
Nel
sesto secolo dopo Cristo buona parte dell’Italia
centro settentrionale vede un vero e proprio
stravolgimento nella sua popolazione in quanto alla
vecchia popolazione romana e celtica si sovrappone - e
solo in secondo momento si mischia – il popolo
longobardo.
I
Longobardi erano una popolazione nomade originaria del
nord della Germania che, dopo avere vagato nell’Europa
centrale per un centinaio di anni, sotto il Re Alboino
invase il Friuli e da lì la Lombardia e tutto il nord e
centro Italia, fatta eccezione per Liguria, Romagna e
parte del Lazio rimaste sotto l’Impero romano
d’Oriente.
Questo
popolo, che scelse quale sua capitale la vecchia Ticinum,
ribattezzata Pavia, professava il cristianesimo eretico
ariano e sia per ragioni religiose che razziste nel suo
primo periodo evitò accuratamente di mischiarsi con i
locali, cattolici e celti romanizzati.
Solo
con la conversione al cattolicesimo, realizzata grazie
alla regina Teodolinda, i popoli iniziarono a mischiarsi
e venne avviata una nuova politica di espansione e di
consolidamento verso il mare.
Questo
momento riveste molta importanza per il nostro Canale in
quanto Teodolinda e i successivi sovrani investono il
monaco irlandese Colombano e i suoi compagni di alcuni
poderi nella città di Bobbio per fondarvi un monastero
e colonizzare le terre vicine e i nostri monti.
Il
buon Colombano e i suoi monaci, oltre a sviluppare un
fiorente centro culturale a Bobbio, organizzano una
colonizzazione capillare dell’Appennino e della
Valtrebbia, fondano centri religiosi - dette
“cellae” - e civili insediando nelle prime gruppi di
religiosi e nelle seconde interi gruppi famigliari
longobardi (sippe o fare) legati da vincoli di sangue e
con lo specifico compito di coltivare e difendere le
terre loro assegnate dal Monastero.
E’
quindi molto probabile che anche Canale si sia
sviluppato dall’insediamento di alcune famiglie
longobarde nelle zone storiche: i Ferretti (che porta il
nome di una famiglia) con la propaggine della Ota e
delle Pezze Lunghe; le Carpeneie; le Ca’ da basso; la
Costa; la Murazza.
Questi
nuclei abitativi si sono poi sviluppati con il classico
sistema di “affiancamento” delle case: ad ogni
ampliamento della famiglia corrispondeva
l’edificazione di un altro edificio attiguo al
preesistente e così via, sino a formare veri e propri
muri di case (il termine Murazza sta a indicare proprio
questa caratteristica edificatoria).
La
vocazione agricola di Canale e l’attenzione e la cura
che i nostri antenati riservavano alla terra coltivabile
si può capire anche dal fatto che, sino ai tempi
moderni, essi hanno lasciato liberi da abitazioni gli
spazi dove più agevole era la coltivazione, le
cosiddette “ciose” (dal latino “clausa” che
indicava un terreno agricolo chiuso) e gli altri terreni
un po’ pianeggianti posti sul bel crinale del Paese.
L’origine
longobarda di Canale e di molti paesi della Valle è una
tesi che sta consolidandosi in questi anni e mi sembra
condivisibile oltre che per le caratteristiche
costruttive del Canale di un tempo, ormai sparito,
tipicamente longobarde e celtiche (costruzioni simili le
troviamo in Germania e Francia) anche per altre
caratteristiche soggettive quali il senso di
appartenenza familiare tipico della popolazione (magari
non ci si parla volentieri, ma si è pur sempre parenti)
e oggettive: i nostri Padri hanno dedicato la Chiesa a
Santa Giustina e questa santa padovana era molto
venerata dai Longobardi.
Ed
è proprio la nostra chiesetta, all’epoca poco più di
una cappella legata alla più importante S. Maria di
Montebruno (anch’essa di dedicazione prettamente
longobarda) a far comparire Canale per la prima volta
nella storia in un documento scritto del tredicesimo
secolo: un sacerdote di nome Simonino è infatti
investito della Chiesa di S. Maria di Montebruno alla
quale è legata quella di Santa Giustina di Canale.
Nel
frattempo a Canale erano passati – per modo di dire,
perché credo non ci abbiano mai messo piede – i
Franchi di Carlo Magno e i tedeschi degli Ottoni e degli
Hohenstaufen, e il suo territorio era passato sotto il
dominio di un ramo dei feudatari Obertenghi, i Malaspina,
che governavano la Valle dai loro Castelli: il più
importante era a Torriglia, che cambiò il nome dal
precedente Patrania proprio per la torre del castello,
ma altri castelli erano a Montebruno (non si sa
esattamente dove), a Casanova, a Croce (di fronte a
Rocca Corvi si vedono ancora le rovine), a Ottone e a
Cariseto, dove si applicava una legislazione molto dura
che per secoli è stata sinonimo di esercizio violento
del potere.
Le
strade erano poche, tutte solo mulattiere, ma più
numerose delle attuali: per arrivare a Canale o si
scendeva dalla strada che collegava la Riviera al
Piacentino (per intenderci, la strada delle villette
verso Co’ dei Runchi, Pianna da Libbia e così fino
alla Rocca) o si saliva dai vari sentieri che guadavano
il Trebbia prima del Ponte attuale o dai Due Ponti (in
dialetto “Ria di Guè” ovvero Ripa dei Guadi).
Per
andare a Fontanigorda non c’era l’attuale strada che
passa per Casoni ma si scendeva dalla Costa nel Fossato,
dove c’era uno dei vari mulini funzionanti, e in
Sermigliasca e, dopo averlo attraversato su un ponte, si
risaliva sino alla cappelletta di S. Rocco di
Fontanigorda, mentre per Casoni e Vallescura o si
prendeva una deviazione o si passava dalla strada
superiore o per altri sentieri che collegavano il nostro
Paese a Casoni ed ai Reisoni e Mezzoni.
E’
invece rimasta pressoché immutata la strada delle
Borzine, che collegava Canale alle Volpaie (o Grupaie,
stante che la volpe è “a gurpe”) ed alle Borzine e
di lì a Sottoripa.
Ma
andiamo avanti con la nostra piccola storia: una ricca e
nobile famiglia di Lavagna, ormai diventata genovese, i
Conti Fieschi, a metà del ‘400 comprano alcuni Feudi
da un ramo dei Malaspina diventando Marchesi di
Torriglia che, ormai da decenni, vedeva inclusa la
“villa” di Canale.
Passa
un centinaio di anni – nel corso dei quali i nostri
antenati continuano a lavorare la loro terra in
primavera e estate ed emigrano in pianura in inverno –
ed ecco che ai Fieschi si sostituisce un’altra
importante famiglia genovese.
A
seguito della famosa – e fallita – congiura dei
Fieschi contro Andrea Doria, quasi tutti i feudi della
famiglia sconfitta vengono divisi tra i Doria e la
Repubblica di Genova e Torriglia con il piccolo Canale
va ai Doria che diventano Marchesi di Torriglia e
Signori di Valtrebbia.
La
vita procede così senza particolari scossoni sotto il
dominio dei Doria che istituiscono un sistema
amministrativo diviso in Ville che al loro interno
eleggono un responsabile che, per un anno, rappresenta
il Marchese nel suo territorio: a Canale esiste ancora
una “Casa del Marchese”.
Questa
era l’organizzazione ufficiale, ma in realtà la
cronaca di quegli anni ci parla di molta violenza e di
un brigantaggio estremamente forte, dovuto anche al
fatto che i nostri territori erano di confine tra Stati
più grandi (Genova, Milano, Parma, Savoia) e che spesso
chi compiva in quei paesi gravi delitti fuggiva sui
nostri monti e godeva dell’impunità, trattandosi di
stato estero.
Dalle
cronache risulta che un prete delle nostre parti chiese
al vescovo di essere autorizzato a portare lo schioppo
poiché “non si sente altro tutto il giorno che di
morti e ammazzamenti” : insomma, la vita non doveva
essere semplice e forse questo giustifica un po’ il
nostro carattere tipico, un po’ selvatico e piuttosto
“deciso”.
Nel
frattempo, a livello ecclesiatico si realizza la riforma
parrocchiale voluta dal Concilio di Trento e
nell’ambito della razionalizzazione delle Parrocchie i
nostri vecchi, nel 1641, chiedono e ottengono dal
Vescovo di Tortona (perché fino ai primi dell’800
siamo stati insieme a Torriglia e Montebruno sotto
Tortona) il distacco da S. Pietro di Casanova e la
nascita della Parrocchia di S.Giustina V.M. di Canale.
Questo
è senz’altro un grande passo perché da quel momento
Canale avrà i suoi registri ecclesiastici dai quali si
può sapere quanta gente è nata, è stata battezzata,
si è sposata ed è morta in un anno; quali erano le
famiglie di Canale; cosa e quanto si spendeva per il
culto; quali problemi c’erano stati.
Le
famiglie erano più o meno le stesse: i Ferretti, i
Biggi, gli Sciutti, i Raggi (ora spariti) e più tardi i
Barbieri.
La
chiesa era più piccola e comprendeva solo l’attuale
navata centrale con abside più piccolo per il pregiato
altare maggiore di marmo, proveniente da Genova; solo
nel settecento venne aggiunta la navata per ospitare la
cappella della nostra Madonna delle Grazie, mentre a
fine ottocento venne costruito il nuovo abside e negli
anni ’60 del ‘900 la navata di S. Giustina.
Il
campanile di Canale, uno dei più alti della Valle,
risale al 1860 ed è stato costruito dalla popolazione
che dedicava tempo ed energie, oltre che parte delle sue
scarse disponibilità economiche, all’edificazione di
un simbolo religioso e comunitario quale la torre
campanaria, che sostituiva altra più piccola che si
trovava dove adesso c’è il “garage del prete”,
sulla piazza della chiesa o, per usare il termine
giusto, in “u prau”.
Infatti,
quella che adesso è una piazza di terra battuta
diventata parcheggio estivo, fino a prima della guerra
era un vero e proprio prato che, dal fianco della
Chiesa, degradava verso la strada ed era chiuso al lato
valle dalla canonica perpendicolare all’edificio
religioso e collocata dove adesso c’è la navata di S.
Giustina.
Alla
festa della Madonna delle Grazie, a quanto mi raccontava
mia nonna, sia il prato che i campi vicini si riempivano
di gruppi famigliari di altri Paesi che dopo aver
partecipato alla festa religiosa (allora ci si muoveva
per le cose importanti) mangiavano all’aperto
aspettando che nel pomeriggio un’orchestrina desse il
via alle danze in un improvvisato “ballo campestre”,
e tra i vari balli si ballava anche la giga,
tipica danza celtica.
Il
cimitero non ha cambiato localizzazione, ma all’epoca
esso costituiva la naturale prosecuzione del sagrato
della Chiesa in quanto la strada carrozzabile non
c’era e quindi per accedervi non si dovevano scendere
e salire le rampe di scale attuali. Anche questa fu
comunque per i canalini una conquista visto che per
secoli il cimitero più vicino era quello di Alpepiana,
in Val d’Aveto e le salme erano portate a spalle.
Torniamo
alla Storia ufficiale: anche i Doria nel 1797 vengono
scalzati da Napoleone e Canale passa alla Repubblica
Ligure e poi all’Impero Francese.
Passa
anche Napoleone e Canale viene assegnato al Regno di
Sardegna, Diocesi e Provincia di Bobbio e la sede del
Comune viene fissata nel più recente insediamento di
Fontanigorda, parrocchia solo dalla fine del ‘700.
Comincia
quindi un secolo di relativa tranquillità: i canalini
si sposano e hanno figli, anche se la mortalità
infantile è elevata.
D’inverno
gli uomini emigrano come muratori o uomini di fatica
nelle città della costa ligure o della Lombardia e
molte donne prestano servizio nelle case delle borghesie
cittadine. Tutti poi appena possibile o necessario
tornano a Canale per semina, raccolto e fienagione.
Quello
che colpisce di questa povera gente che erano i nostri
antenati – io ho una nonna di Canale e uno di
Vallescura e Barcaggio – è comunque la grande dignità
che hanno sempre mantenuto: poveri sì, ma mai miseri;
alla domenica gli uomini si mettevano camicia bianca,
giacca e cappello; se passava un viandante (un porumin)
quel poco che si aveva era condiviso e un po’ di
pagliericcio per dormire era senz’altro offerto; il
poco guadagno era risparmiato per la famiglia e appena
si poteva, se quella era l’intenzione, si cercava di
comprare “u sci-itu” in città e di dare un minimo
di istruzione ai figli.
Ai
primi del ‘900 probabilmente abbiamo la maggior
crescita demografica a Canale, dove c’è anche una
scuola a classi miste che trova collocazione in alcune
abitazioni private: nei Ferretti, nelle Pezze Lunghe e
da ultimo nelle Ca’ da Basso.
L’emigrazione
verso le Americhe c’è, ma non è forte come in altri
centri della Liguria, ed è più sentita l’attrazione
verso Genova;
altri Paesi scelgono Milano, come Casoni, o la
Francia, come Fontanigorda.
La
prima guerra mondiale porta alcuni lutti ricordati da
una lapide sulla facciata della Chiesa, ma
fortunatamente non molti se paragonati ad altre vicine
realtà come Casoni che piange molte più vittime
dell’”inutile strage”.
Il
primo dopoguerra porta a Canale il ponte del 1929,
figlio di un’annosa disputa tra fazioni circa
l’accesso al Paese: un partito infatti puntava sulla
strada dei Due Ponti, un altro sull’attuale tracciato
“della Roncazza” che poi venne realizzato, anche
questo a picco e pala, dai canalini.
Il
fascismo a Canale non porta alcun miglioramento degno di
nota se non alcune belle conifere dopo il ponte, nella
salita verso il Paese, e l’obbligo per la gioventù di
recarsi ogni tanto a Genova o a Fontanigorda per
manifestazioni alle quali le donne partecipano bardate
da “massaie rurali” …. gli uomini continuano ad
emigrare, le donne continuano ad andare a servizio nelle
case della borghesia e tutti continuano a lavorare
faticosamente la terra
In
compenso arrivano la guerra, un povero caduto in Africa
Orientale e, dopo l’8 settembre, la Resistenza che
trova nella nostra Valle uno dei centri più attivi: il
capo partigiano Marzo, compagno di Bisagno, stabilisce il suo quartiere generale a Canale e,
quando i fascisti bruciano Barbagelata, a Canale si
trema, pensando che fascisti e tedeschi gli avrebbero
riservato lo stesso trattamento.
Fortunatamente
così non accadde, anche se dal ’43 e ’45 i morti
nella valle furono molti e la battaglia di Loco fu uno
degli eventi più noti, ma non l’unico: venne fatto
saltare il ponte dei 10 metri verso Torriglia e a Ponte
Trebbia un gruppo di partigiani venne massacrato dai
tedeschi.
Dopo
il 25 aprile ha finalmente inizio un periodo di pace e
relativa tranquillità economica che però coincise,
dalla fine degli anni ’50 in poi, con un irreversibile
spopolamento di Canale a favore di Genova: intere
famiglie si trasferirono in città chiudendo le case e
abbandonando di fatto i campi e l’allevamento.
L’ultimo
camino che, spegnendosi, ha davvero significato una
grave perdita per Canale è stato quello dell’ultimo
parroco residente, Don Santino, che costituiva una
presenza fissa e di riferimento per tutti, credenti e
non credenti, in quanto testimone vivo della nostra
Comunità che ha riconosciuto questo suo ruolo nella
bella festa del 50° di sacerdozio del 1990.
Il
paese ha quindi mutato la sua originaria natura
agricola, le case sono state ristrutturate e quelle che
prima erano stalle sono diventati appartamenti per il
turismo estivo di genovesi che non amano spostarsi
troppo e preferiscono – giustamente - dormire al
fresco, al silenzio e senza zanzare.
Anche
il paesaggio naturale è cambiato rispetto alle rare
fotografie antecedenti la seconda guerra mondiale: molte
aree un tempo “pulite” sono state invase da roveti o
vegetazione disomogenea ed anche i nostri bei boschi di
castagni secolari, prima curati dall’uomo, sono ogni
anno che passa meno praticabili, come pure molti
sentieri.
Il
fenomeno è però inevitabile in quanto tutti noi che,
chi più chi meno, frequentiamo Canale d’estate, non
possiamo oggettivamente fare quello che facevano i
nostri Padri che, pur con meno mezzi, vivevano buona
parte dell’anno nel loro Paese e traevano parte del
loro vitto dalla terra e dall’allevamento.
La
nostra vita è altrove e vediamo in Canale un posto
dove, o per radici famigliari o per affetto, desideriamo
trascorrere momenti sereni con i nostri cari e con la
nostra tradizione ed è già un ottimo elemento di
speranza l’esistenza di associazioni o di Gruppi di
persone che, liberamente e senza altro scopo che non sia
quello di stare bene insieme condividendo l’amore per
un luogo, dedichino tempo e risorse per progetti di
miglioramento del Paese e della qualità di vita dei
suoi abitanti fissi e stagionali.
La
breve Storia di Canale si chiude così, con un
complimento diretto ai CHS ed al Gruppo della
generazione anni 50 e 60 – che in questi anni hanno
lavorato molto e bene - e con un po’ di mio malcelato
disappunto per risiedere a Canale molto meno di quanto
vorrei, ma mai dire mai …. del resto il Canale più
bello, quello della mia infanzia e gioventù, l’ho
sempre nel cuore.
Spero
di non avervi annoiato e resto a disposizione di
qualsiasi canalino d’origine e adozione per eventuali
approfondimenti.
Bruno
Franceschi
|