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Traversata Canale - Ottone

Volendo raccontare la passione per la montagna e l’escursionismo, con l’intento di incoraggiare a frequentare i sentieri e ad assaporare l’aria rarefatta delle quote della Val Trebbia o della Val D’Aveto, mi vengono in mente mille aneddoti, frammenti d’estate condivisi con gli amici di una vita….

Mi rendo conto che sono troppi per menzionarli tutti, allora ne citerò uno, che non è tra i più recenti, ma sicuramente è quello che è rimasto più vivo e fervido nella mia memoria; l’episodio, in realtà, risale a parecchio tempo fa, e precisamente all’estate del 1992.

Non tutti i Canalini hanno questa dedizione alla pratica dell’escursionismo, nonostante il contesto bucolico e verdeggiante in cui si trascorre l’estate molti privilegiano uno stile di vita pacato e ozioso; esiste tuttavia un gruppo storico, fra noi, che non ha mai disdegnato partecipare alle cosiddette “gite” estive.

Quell’estate si era particolarmente attivi, eravamo riusciti a totalizzare circa 6 o 7 gite concentrate in due mesi, e questo è da considerarsi un dato storico per i ritmi canalini, e, sì era proprio l’euforia di quell’estate, che aveva portato sul Monte Penna, il Monte Maggiorasca, il Monte Bue, l’Aiona, l’Antola anche personaggi tradizionalmente da spiaggia quali A. Buccati, mi piace ricordarlo mentre assaliva la vetta con le mitiche Superga!

Comunque, decidemmo di organizzare, sotto proposta di Andrea Ferretti, un’impresa che nessuno aveva ancora tentato, ossia la traversata  dei monti liguri, da Canale a Ottone, ben 35 km a piedi!

Quando anticipammo le nostre aspettative ai paesani temprati, quali Ninni o Andreino, che in gioventù frequentavano questi luoghi ameni non per scopi ludici ma per adempiere a mansioni di sussistenza quotidiana, risero di buon cuore, considerandoci dei folli o quantomeno degli inspiegabili millantatori.

Ebbene, il gruppone vedeva schierati rispettivamente: la sottoscritta, Andrea L. Andrea Ferretti, Michela M., Christian M., Laura R, Bruno F, Andrea B.

Luca R., (adesso, sig! mio marito), fautore della maggior parte di questo genere di iniziative, era allora impegnato a Pisa per il servizio di leva, e tutte le volte, quando ricordiamo la mitica impresa ci rimprovera  sempre di non averlo aspettato!

Questo attacco denigratorio si spiega solo forse proprio perché si tratta di una delle gite più belle e più impegnative che ci hanno coinvolto. La gita nella sua integrità, non presenta difficoltà tecniche, non si devono affrontare grossi dislivelli, ma è estenuante per la durata (circa 12 ore) ed un po’ ostica sotto il profilo del reperimento dei sentieri, in quanto, molto spesso se ne devono attraversare alcuni battuti solo dalla traccia dei cinghiali e quindi non palesemente riconoscibili e convenzionalmente “segnati”.

Ci incamminammo molto presto, alle 7.30 circa. Da Canale si deve imboccare il sentiero che costeggiando la nota Cappelletta di S. Rocco si incunea verso il Passo della Rocca (1246 mt). Lago della Nava, Valico del Fregarolo, Cappella del Fregarolo (1163).

Si giunge così al P.so Gifarco ( 1279 mt), oltre il quale si innalza l’elegante piramide del monte omonimo, che si aggira ad oriente giungendo all’insellatura tra M. Gifarco ( 1380 mt) e la Rocca Bruna.

Merita senz’altro una scappata in vetta, solo per il panorama bellissimo che si spiega ampissimo, a spaziare fino alla Val D’Aveto e verso il mare…

La Rocca Bruna e il M. Gifarco sono due cime rocciose, aspre e brulle di poco emergenti dalla dorsale spartiacque tra la Val Trebbia e la Val D’aveto.

L’escursione si svolge, in gran parte, tra fitti boschi, faggeti e castagneti prevalentemente, ma la vista delle vette che si vanno a toccare è veramente imprendibile. Quindi consiglio di salire anche sulla Rocca Bruna, così come abbiamo fatto noi. Occorre seguire il sentiero segnato con il cerchio giallo vuoto.

Lungo il percorso ci sono diverse fonti, alle quali è possibile abbeverarsi, tra queste la Font.na Micichia, in prossimità della Rocca Bruna,  si prosegue seguendo sempre il pallino giallo pieno, verso il P.so Ertola (1189 mt). Veniamo quindi a costeggiare il M. Montarlone ( 1500 mt), che merita una descrizione a parte. La zona sottostante il M.Montarlone è frequentata da cavalli allo stato brado e non è infrequente imbattersi in branchi che brucano allegramente l’erba verdeggiante dei prosperi prati, qui c’è anche un simpatico rifugio, non custodito, ma molto ben tenuto, dove gli irriducibili hanno fatto tappa, una delle pochissime soste concesse dal Capo gita Andrea Ferretti. In un battibaleno raggiungiamo P.so Prato di Foppiano (1363 mt), non siamo ancora a metà tragitto.

La stanchezza comincia ad impadronirsi di alcuni di noi, il primo a lamentarsi è A. Lonigro, detto Lo pigro non a caso, o, in tempi più recenti Poppi, il quale, accasciandosi al suolo in preda alle prime convulsioni, viene ripreso dal Capogita perché avremmo fatto troppe soste, a sentire lui già 10 !! Ma quando mai…. (l’intrepido ed irriducibile Banzai contava sosta anche quando uno di noi si voltava e si soffermava un secondo ad ammirare il paesaggio dicendo all’altro: guarda laggiù c’è Canale!!!.

Proseguiamo quindi il nostro cammino e cambiamo direttrice, volgiamo verso la Valle Piacentina, in direzione di Ottone. Una piacevole strada carrozzabile conduce all’allegro paesello, ma noi scegliamo di tagliare seguendo una strada alternativa, suggerita dal nostro capo guida, sbagliamo clamorosamente e ci addentriamo in una macchia praticata solo dagli amici cinghiali. Dopo ore e ore sotto il sole cocente, alcuni di noi cominciano a dare le prime “ botte”. Franceschi ci sollecita con un colorito linguaggio (a lui alquanto inconsulto) a non fermarci sotto il sole ma all’ombra di un qualche albero, probabilmente la sua mente è già annebbiata per non rendersi conto che non esisteva traccia di un arbusto superiore ai 10 centimetri per almeno 2 kilometri. Il poveretto lamentava piaghe alle gambe con ferite che ormai versavano in condizioni pietose,  visto che al mattino, allegramente, aveva deciso di indossare i calzoni alla “Zuava” per cimentarsi in questa impresa. Decisamente, scelta non poteva essere più azzeccata, soprattutto quando ci troviamo a attraversare questa radura di arbusti spinosi…..Certo è, che dopo questa gita non vedemmo più il Franceschi tra di noi…passando il testimone al fratello, Paolo, più scattante e fresco.

Usciti da questa ardua attraversata usciamo in corrispondenza di un prato che si trova proprio sopra Ottone, ma un simpatico vecchietto ci informa che mancano ancora 4 Km ad Ottone, dove profeticamente abbiamo lasciato le macchine il giorno prima: alla notizia mi sento svenire, sono le 19,30 di sera e miei piedi urlano!!!! Banzai parte  in quarta: “ vado io!!!” stoicamente si offre come volontario per raggiungere l’auto e tornare a prenderci!!! Non ci posso credere”si, si, si!!! Eh, vai!!!!  Gli occhi di tutti noi si illuminano e vedono già il traguardo. Poi, improvvisamente, il Poppi se ne esce dicendo, in preda ad uno slancio tra il mistico e lo stoico: “No, fermati. Siamo partiti insieme ed arriveremo insieme”. Quanto lo odio.. quando ha queste uscite insane, forse si è calato troppo nella parte di Pellegrino in marcia per Santiago di Campostela!!! Mi chiedo come abbia potuto uscire indenne da una situazione come questa…senza essere sacconato!

Finalmente usciamo dalla radura e arriviamo ad Ottone, sono le 19,30. Spossati, stanchi, massacrati, ma mai stati così felici.

Pensando ai tempi di allora  mi convinco che non c’è nulla di più genuino e sano come frequentare la montagna con gli amici di un tempo….. gli amici di sempre.

 

 

 

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